SEMPRE COLPA DEI GIORNALISTI?
Riporto pari-pari (ovvero copio e incollo) un articolo a firma di Vittorio Zucconi da poco pubblicato su Repubblica.it. Argomento: SB, le sue dichiarazioni, le sue smentite, le sue accuse di faziosità ai giornalisti. Non nego che Repubblica sia sempre molto critica verso SB, ma è anche vero che la critica la può esercitare solo chi usa correttamente i proprio mezzi (o quanto meno tenta di tutto per farlo). Leggete la ricostruzione di Zucconi della conferenza stampa in cui SB dice che G.W. Bush teme la vittoria del centrosinistra in Italia per poi smentire tutto di lì a qualche minuto.
Inseguire le smentite, le autocorrezioni e le acrobazie del primo ministro Berlusconi è sempre impresa che produce qualche vertigine, ma sulla vicenda del "timore" americano per una possibile vittoria elettorale del centrosinistra, i fatti sono chiari e verificabili da dozzine di testimoni presenti. Berlusconi ha dovuto smentire se stesso e le proprie parole nell'arco di una stessa conferenza stampa.
Torniamo all'auditorium dell'ambasciata italiana di Washington, lunedì 31 ottobre, alle ore 13.45 locali. Seduto tra l'ambasciatore Castellaneta e il portavoce Bonaiuti, il premier italiano risponde alla domanda della inviata del TG1, affermando, senza mezzi termini, dopo avere illustrato l'agenda dei colloqui e nel quadro della sua conversazione con Bush appena finita (il contesto è importante) che "il presidente teme il cambio di governo in Italia", per "le posizioni sul ritiro delle nostre truppe dall'Iraq", fatte dal centro sinistra.
La conferenza stampa si trascina stancamente, per un'altra ora circa, zigzagando fra vari argomenti. Ma per i giornalisti più accorti, è quella frase che resta impressa. Si alza un inviato del Corriere della Sera che vorrebbe capire meglio la storia del "timore americano". Berlusconi ripete quello che ha già detto: "Il governo americano teme la vittoria della sinistra". Chiaro? Chiarissimo. La frase non è un'interpretazione, un'estrapolazione, un'ipotesi. E' un'affermazione netta, soggetto, verbo all'indicativo presente, complemento oggetto, attribuita al governo americano, dunque a George Bush, l'uomo con il quale Berlusconi ha appena finito di discutere e di pranzare per due ore.
L'agenzia Ansa, correttamente, si affretta a lanciare un flash con la notizia: un governo straniero, e specialmente un governo come quello americano, che esprime platealmente la propria preferenza elettorale verso una democrazia alleata e sovrana in piena campagna elettorale, è "big story", faccenda grossa. Bush ci manda a dire, attraverso Berlusconi, come noi italiani dovremmo votare. Pochi minuti più tardi, un'altra agenzia, la Ap.com, chiede a Fred Jones, uno dei portavoce del governo, chiarimenti. Jones riafferma la imparzialità e la assoluta non ingerenza della Casa Bianca di fronte a elezioni democratiche in paesi sovrani. E' la prima smentita.
Prima che la conferenza termini, dopo un interminabile e non richiesto comizio del premier su euro, finanziaria, lavoro, Cina, petrolio, commercio internazionale e altro, l'inviato di Repubblica - io - si alza per chiedere ancora una volta di chiarire un punto così rovente e chiaramente destinato ad avere una eco enorme in Italia: "Presidente, a scanso di equivoci, lei ci sta dicendo che il presidente Bush ha espresso a lei una preferenza elettorale contro il centro sinistra?".
Berlusconi, finalmente, capisce di averla fatta fuori da vaso. "No, no - mi risponde - Bush non lo ha detto, ma mi sembra logico, come uno più uno fa due, che al governo americano non possa piacere che in Italia vada al potere una coalizione che si è espressa sulla posizioni di Zapatero". Dunque egli ha attribuito, nelle prime due risposte, a Bush quello che era invece la sua opinione di capo di un partito e di una coalizione. Legittima, fino quando sua, arbitraria quando messa sulla labbra di un altro governo.
La stessa agenzia Ansa, di nuovo correttamente, si affretta a lanciare un altro dispaccio per informare che Berlusconi ha di fatto corretto la propria affermazione e ha negato che sia stato Bush a esprimere quella opinione. Un fatto che sarebbe stato di colossale gravità politica, sicuro produttore di passi diplomatici e di marce indietro.
Tanto grave sarebbe stato che alcune ore più tardi, sollecitato dai giornalisti italiani di agenzia come si fa, o si dovrebbe fare sempre in questi casi, il portavoce dello Nsc, il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, il circolo più alto dei consiglieri presidenziale per la sicurezza e la politica estera, ribatte il chiodo e afferma l'ovvio, che al Berlusconi delle 13 e 45 era sfuggito e che il Berlusconi delle 14 e 45 aveva capito e riacciuffato, ma soltanto dopo la mia insistenza nel precisare: informa che la posizione del governo americano è quella di sempre, che "le scelte elettorali del popolo italiano riguardano esclusivamente il popolo italiano". Tradotto: la Casa Bianca (di cui lo Nsc è il cuore strategico) avverte che l'aritmetica di Berlusconi, "l'uno più uno fa due", lo accenno a Zapatero, la storia dei "timori" è tutta farina del sacco italiano.
Fine della solita, triste, umiliante storia déjà vu mille volte, di un capo del governo che nel fervore della propaganda elettorale perde il senso del proprio ruolo istituzionale quando si muove come presidente del consiglio dei ministro all'estero, dunque rappresentando la nazione e il Parlamento insieme. E anziché umilmente scusarsi, cerca di scaricare sui giornali la propria irresponsabilità.
Sempre colpa dei giornalisti?
Inseguire le smentite, le autocorrezioni e le acrobazie del primo ministro Berlusconi è sempre impresa che produce qualche vertigine, ma sulla vicenda del "timore" americano per una possibile vittoria elettorale del centrosinistra, i fatti sono chiari e verificabili da dozzine di testimoni presenti. Berlusconi ha dovuto smentire se stesso e le proprie parole nell'arco di una stessa conferenza stampa.
Torniamo all'auditorium dell'ambasciata italiana di Washington, lunedì 31 ottobre, alle ore 13.45 locali. Seduto tra l'ambasciatore Castellaneta e il portavoce Bonaiuti, il premier italiano risponde alla domanda della inviata del TG1, affermando, senza mezzi termini, dopo avere illustrato l'agenda dei colloqui e nel quadro della sua conversazione con Bush appena finita (il contesto è importante) che "il presidente teme il cambio di governo in Italia", per "le posizioni sul ritiro delle nostre truppe dall'Iraq", fatte dal centro sinistra.
La conferenza stampa si trascina stancamente, per un'altra ora circa, zigzagando fra vari argomenti. Ma per i giornalisti più accorti, è quella frase che resta impressa. Si alza un inviato del Corriere della Sera che vorrebbe capire meglio la storia del "timore americano". Berlusconi ripete quello che ha già detto: "Il governo americano teme la vittoria della sinistra". Chiaro? Chiarissimo. La frase non è un'interpretazione, un'estrapolazione, un'ipotesi. E' un'affermazione netta, soggetto, verbo all'indicativo presente, complemento oggetto, attribuita al governo americano, dunque a George Bush, l'uomo con il quale Berlusconi ha appena finito di discutere e di pranzare per due ore.
L'agenzia Ansa, correttamente, si affretta a lanciare un flash con la notizia: un governo straniero, e specialmente un governo come quello americano, che esprime platealmente la propria preferenza elettorale verso una democrazia alleata e sovrana in piena campagna elettorale, è "big story", faccenda grossa. Bush ci manda a dire, attraverso Berlusconi, come noi italiani dovremmo votare. Pochi minuti più tardi, un'altra agenzia, la Ap.com, chiede a Fred Jones, uno dei portavoce del governo, chiarimenti. Jones riafferma la imparzialità e la assoluta non ingerenza della Casa Bianca di fronte a elezioni democratiche in paesi sovrani. E' la prima smentita.
Prima che la conferenza termini, dopo un interminabile e non richiesto comizio del premier su euro, finanziaria, lavoro, Cina, petrolio, commercio internazionale e altro, l'inviato di Repubblica - io - si alza per chiedere ancora una volta di chiarire un punto così rovente e chiaramente destinato ad avere una eco enorme in Italia: "Presidente, a scanso di equivoci, lei ci sta dicendo che il presidente Bush ha espresso a lei una preferenza elettorale contro il centro sinistra?".
Berlusconi, finalmente, capisce di averla fatta fuori da vaso. "No, no - mi risponde - Bush non lo ha detto, ma mi sembra logico, come uno più uno fa due, che al governo americano non possa piacere che in Italia vada al potere una coalizione che si è espressa sulla posizioni di Zapatero". Dunque egli ha attribuito, nelle prime due risposte, a Bush quello che era invece la sua opinione di capo di un partito e di una coalizione. Legittima, fino quando sua, arbitraria quando messa sulla labbra di un altro governo.
La stessa agenzia Ansa, di nuovo correttamente, si affretta a lanciare un altro dispaccio per informare che Berlusconi ha di fatto corretto la propria affermazione e ha negato che sia stato Bush a esprimere quella opinione. Un fatto che sarebbe stato di colossale gravità politica, sicuro produttore di passi diplomatici e di marce indietro.
Tanto grave sarebbe stato che alcune ore più tardi, sollecitato dai giornalisti italiani di agenzia come si fa, o si dovrebbe fare sempre in questi casi, il portavoce dello Nsc, il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, il circolo più alto dei consiglieri presidenziale per la sicurezza e la politica estera, ribatte il chiodo e afferma l'ovvio, che al Berlusconi delle 13 e 45 era sfuggito e che il Berlusconi delle 14 e 45 aveva capito e riacciuffato, ma soltanto dopo la mia insistenza nel precisare: informa che la posizione del governo americano è quella di sempre, che "le scelte elettorali del popolo italiano riguardano esclusivamente il popolo italiano". Tradotto: la Casa Bianca (di cui lo Nsc è il cuore strategico) avverte che l'aritmetica di Berlusconi, "l'uno più uno fa due", lo accenno a Zapatero, la storia dei "timori" è tutta farina del sacco italiano.
Fine della solita, triste, umiliante storia déjà vu mille volte, di un capo del governo che nel fervore della propaganda elettorale perde il senso del proprio ruolo istituzionale quando si muove come presidente del consiglio dei ministro all'estero, dunque rappresentando la nazione e il Parlamento insieme. E anziché umilmente scusarsi, cerca di scaricare sui giornali la propria irresponsabilità.
Sempre colpa dei giornalisti?
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