CIAO DIRETTORE (e scusa la banalità)
A volte non si sa veramente come comportarsi, anche nelle vicende più dolorose. Questa mattina, verso le 12,30, mi trovo al Palaverde per seguire il big match del campionato di basket Benetton-Siena. Giornata particolare: Palaverde pieno, tanti campioni in campo, partita a mezzogiorno. Un'ottima cornice. Per me meglio non può andare: per una volta ho la possibilità di terminare il mio lavoro ad un orario decente.
Tante le cose che mi colpiscono, una è l'ironia di certi tifosi. Uno striscione diretto a Myers, grande nemico del Palaverde, recita : "Bologna, Roma, Siena. Ti manca solo l'Inter". Micidiale riferimento alla storia del giocatore, passato per squadroni ricchi di talento e denaro vincendo però molto, ma molto, poco. Mi piace e mando un sms a due miei amici. Immagino di ricevere una risposta divertita entro poco. Invece niente. Ad un certo punto mi arriva un messaggio. Riconosco il numero e lo apro sorridendo: rimango di sasso. "Morto Lago". Due parole, due macigni. Giorgio Lago è stato (purtroppo bisogna dire così) un pezzo di storia del Gazzettino. Prima inviato, poi direttore per quasi dieci anni: il decennio d'oro del più importante giornale del nordest. Poco dopo la metà degli anni Novanta, lasciò l'azienda in malo modo e divenne editorialista dela gruppo l'Espresso, scrivendo con puntualità anche sulla Tribuna.
Io non lo conoscevo di persona, altri miei colleghi e amici sì. Però Lago è stato il direttore con cui sono diventato Pubblicista. Poca cosa, lo so. Ma per me importante. C'è chi si è iscritto all'albo con la firma di Bacialli... Mentro guardo il display del telefonino penso a tutto questo. La partita intanto continua, non bella ma intensa. Alzo lo sguardo verso destra, sulle tribune. Vedo seduto Pierluigi Tagliaferro, per anni il vice di Lago. Evidentemente non sa ancora nulla: è calmo, tutto concentrato su quanto accade in campo. Qualcuno lo avverte nella pausa tra il primo e il secondo quarto: nessuno lo rivede più dentro il palazzetto. Intanto rimango con il telefonino in mano. "Morto Lago". Continuo a leggere il messaggio e non so cosa fare. Che rispondere? "Mi dispiace"? "E' stato un grande giornalista"? Mi sembrano tutte enormi banalità. Meglio il silenzio. Finita la partita, finiti i miei servizi, chiamo Carlo e mi faccio spiegare. Lui dissimula ma si capisce che c'è rimasto male. Lui, da Lago, è stato assunto. Ci ha lavorato assieme. Ha sicuramente motivi migliori dei miei per essere triste. Io al telefono divago, poi saluto.
Adesso posso dirlo: ciao Direttore.
Tante le cose che mi colpiscono, una è l'ironia di certi tifosi. Uno striscione diretto a Myers, grande nemico del Palaverde, recita : "Bologna, Roma, Siena. Ti manca solo l'Inter". Micidiale riferimento alla storia del giocatore, passato per squadroni ricchi di talento e denaro vincendo però molto, ma molto, poco. Mi piace e mando un sms a due miei amici. Immagino di ricevere una risposta divertita entro poco. Invece niente. Ad un certo punto mi arriva un messaggio. Riconosco il numero e lo apro sorridendo: rimango di sasso. "Morto Lago". Due parole, due macigni. Giorgio Lago è stato (purtroppo bisogna dire così) un pezzo di storia del Gazzettino. Prima inviato, poi direttore per quasi dieci anni: il decennio d'oro del più importante giornale del nordest. Poco dopo la metà degli anni Novanta, lasciò l'azienda in malo modo e divenne editorialista dela gruppo l'Espresso, scrivendo con puntualità anche sulla Tribuna.
Io non lo conoscevo di persona, altri miei colleghi e amici sì. Però Lago è stato il direttore con cui sono diventato Pubblicista. Poca cosa, lo so. Ma per me importante. C'è chi si è iscritto all'albo con la firma di Bacialli... Mentro guardo il display del telefonino penso a tutto questo. La partita intanto continua, non bella ma intensa. Alzo lo sguardo verso destra, sulle tribune. Vedo seduto Pierluigi Tagliaferro, per anni il vice di Lago. Evidentemente non sa ancora nulla: è calmo, tutto concentrato su quanto accade in campo. Qualcuno lo avverte nella pausa tra il primo e il secondo quarto: nessuno lo rivede più dentro il palazzetto. Intanto rimango con il telefonino in mano. "Morto Lago". Continuo a leggere il messaggio e non so cosa fare. Che rispondere? "Mi dispiace"? "E' stato un grande giornalista"? Mi sembrano tutte enormi banalità. Meglio il silenzio. Finita la partita, finiti i miei servizi, chiamo Carlo e mi faccio spiegare. Lui dissimula ma si capisce che c'è rimasto male. Lui, da Lago, è stato assunto. Ci ha lavorato assieme. Ha sicuramente motivi migliori dei miei per essere triste. Io al telefono divago, poi saluto.
Adesso posso dirlo: ciao Direttore.
2 Comments:
Mai vergognarsi di certe lacrime, fanno solo onore.
I will not approve on it. I over nice post. Specially the appellation attracted me to study the sound story.
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